Recensione in Zeromagazine
Ho deciso di parlare di questo lavoro e non del recente "Winds devouring men", peraltro opera estremamente immaginifica, mutevole e complessa, poiché credo sia un album di cui si è parlato troppo poco. Ci troviamo al cospetto di un grandioso affresco operistico che non mancherà di esaltare gli amanti di sonorità neoclassiche e dell’epica di certa musica sinfonica esasperata. L’ensamble francese confeziona una vera e propria pietra miliare, capace di convogliare in un vortice emozionale che lascia attoniti e smarriti.
Il filo conduttore dei nove brani sembra essere un biblico travaglio di reminescenza Miltoniana in cui si accede agli abissi più scuri degli inferi(Du tréfonds des ténèbres), dove si è ghermiti dalle urla lancinanti dei dannati, immersi in una sintassi orchestrale che ci assale con l’impeto di una condanna; c’è spazio solo per brevi folate di accorati lamenti, prima che il peccato portato dal dubbio venga ad infierire su di noi. Le composizioni risultano lunghe, articolate ma mai pesanti, stucchevoli o ridondanti. Notevoli anche le vicinanze stilistiche a mostri sacri come i Dead Can Dance, e a questo proposito basta ascoltare la voce maschile in Moon of amber per riconoscervi un timbro e un fascino simili a quelli di Brendan Perry.
E dei Dead Can Dance in effetti, essi recuperano l’ambizione avanguardista di descrivere in maniera multiforme e sofferta, la crisi mistica, l’esoterismo, la tensione mistico-religiosa celata nel maelstrom infernale rappresentato dall’essere umani, dal ricevere e accettare tentazioni e dal patirne le conseguenze.
Poi c’è la rinascita. Aldilà dell’apocalisse, in un caleidoscopio sonoro che dopo averci stordito ci eleva , ecco arrivare la redenzione, la visione appagante del paradiso(In the embrasure of heaven, The wake of the angel), l’eco angelica del perdono, oltre l’ultimo abisso.
Una sintesi estrema tra bene e male, un viaggio trascendentale tra musica, poesia e folli visioni.
Un capolavoro.
Andrea Valeri
06/07/04