Recensione in Zeromagazine

L’apocalisse è alle porte e non ce ne siamo resi conto.
Da sempre in questa frase è riassumibile il concetto portante della musica degli Elend.
La nuova fatica della band francese, forse di poco inferiore al precedente Winds Devouring Men, presenta fin da subito il medesimo impatto emozionale che li contraddistingue.
L’iniziale Chaomphalos mette in mostra la tendenza però, a sottolineare meno gli aspetti sinfonici a favore di una maggiore attenzione per le atmosfere spesso sinistre ed infarcite di riferimenti classici estremamente articolati.
Ardour e Sunwar the dead recuperano la roboante cifra stilistica che esala umori tetri ed epici al tempo stesso.
Cori, percussioni, l’orchestra intera affascinano con una lettura trascinante e vorticosa della tradizione neoclassica.
Il trio Hasnawi/Roland/Tschirner non si ferma qui.
Come ho specificato precedentemente, aldilà degli ovvi riferimenti ai Dead Can Dance, è necessario rimarcare alcune pregevoli differenziazioni che in parte distaccano S.T.D. dal resto della produzione targata Elend.
Ares in their eyes presenta in effetti interessanti innesti di frastornante noise e una seconda parte in cui il caos è descritto con fraseggi scombinati di dissonanze e turbolenze elettriche.
Sono solo passaggi immersi nel contesto orchestrale ma donano alle composizioni una luce disturbante.
Fragorose percussioni condizionano l’andamento ambient di The hemlock sea, un climax allucinato permea la struttura di La terre n’aime pas le sang, timbriche dark, sussurri, tappeti di violini a decantare nel buio di una notte senza fine, questa è la fiaba nera di A song of ashes.
Avrete sicuramente capito che si tratta di un’opera variegata e difficile da apprezzare in pieno dopo un solo ascolto.
Se però, gli concederete tempo, saprà mostrarvi il ripido sentiero che conduce all’emozione.
Chi già amava gli Elend non potrà invece, non restare affascinato anche da Sunwar the dead.
Un’ennesima prova di talento.

Andrea Valeri
19/10/04